Tra Farra di Soligo e Col San Martino si ergono tra le colline le tre Torri di Credazzo, divenute immagine simbolo del sito patrimonio Unesco.

Un’origine antichissima

Questo complesso fortificato è ciò che resta di un piccolo castello edificato probabilmente tra il IX e il X secolo. Intorno al 1200 il castello di Credazzo era di proprietà dei Da Camino così come il piccolo borgo da esso protetto e la chiesetta di San Lorenzo attinente al piccolo feudo. Il borgo era chiamato Villa Credaci, e il toponimo è riconducibile alla creta (in dialetto creda), in riferimento alla natura argillosa del territorio. Il castello di Credazzo è legato alle vicende di alcuni degli esponenti più importanti dei Caminesi: qui nacque Guecellone VI, alleato di Ezzelino da Romano e padre di Tolberto III, marito della nota Gaia da Camino ricordata da Dante.

Un panorama autunnale

Nel 1321 il castello venne messo all’asta e fu comprato da Rambaldo VIII di Collalto. Nel 1421 quando il Trevigiano era ormai parte della Serenissima, la fortificazione fu distrutta da Pippo Spano, al soldo del Regno di Ungheria.

Rimase distrutto e abbandonato fino alla seconda metà del 1900, tanto che tra gli abitanti del posto veniva chiamato “Le mura di Credazzo” e non “Castello”.

Il restauro del quale possiamo ora ammirare il risultato è stato avviato dall’architetto Giovanni Barbin intorno al 1970.

Il castello è ancora costituito da tre torri allineate in direzione nord-sud, collegate fra loro da mura che delimitano due cortili interni. All’interno della cinta si trovavano probabilmente costruzioni in legno che ospitavano la servitù.

Uno scatto celebre (da Visit Prosecco Hills)
Altro scatto ormai conosciutissimo (da Visit Prosecco Hills)

Un punto strategico

La sua posizione strategica, a controllo delle montagne a nord e dominante sulla pianura a Sud, lo rendeva un punto strategico del sistema difensivo che si era creato lungo la dorsale collinare per cercare di difendersi dalle invasioni barbariche provenienti da settentrione.

Anch’esso come tutti castelli sorti sulle nostre colline faceva parte di quel fenomeno noto come “incastellamento” che ha riguardato tutta l’Europa del IX e del X secolo e che ha segnato l’inizio della ripresa economica e sociale del vecchio continente dopo l’anno 1000.

Come ben spiegato dal professor Raffaello Spironelli, il Castello di Credazzo era un tipico esempio di “Castrum et fortilicia, fornito di gallerie sotterranee per cercare la salvezza in caso di capitolazione, dispone di barriere protettive e camminamenti in legno per le sentinelle, dimore per masnada e famuli, capienti cisterne d’acqua, depositi di legna e magazzini, quindi tutto il necessario per resistere a un lungo assedio. […]  La torre alta e slanciata svolge il compito di avvistare eventuali orde di invasori, che scendono dal versante delle Piccole Montagne, ma, trovando un pendio scosceso a settentrione, sono costrette ad aggirare la collina di Credazzo per tentare la conquista. La torre meridionale deve quindi impedire l’accesso agli intrusi, mentre il mastio o torre centrale ha il compito di ospitare la famiglia del signore e i suoi fidati cavalieri”.

Veduta aerea (dalla pagina del professor Raffaello Spironelli)

Una storia d’amore

E come si conviene a tutti i castelli anche Credazzo porta a corredo una storia d’amore tragica e romanzata, non proprio Romeo e Giulietta, ma…

Tredicesimo secolo, castello di Credazzo, Farra di Soligo.

Agnesina era una pastorella di Credazzo, fidanzata con l’amato Giacinto. Il temutissimo signore del castello, Guecellone, s’invaghisce della fanciulla e la rapisce. La stessa notte, Giacinto, tormentato, si reca sotto le mura del castello in cui Agnesina è tenuta prigioniera. Nel momento in cui lei si affaccia dalla torre sente aprirsi la porta alle sue spalle. Scorge lo sguardo lussurioso di Guecellone e, disperata, si getta tra le braccia del suo amato. I due innamorati rotolano lungo la ripida e scoscesa collina e muoiono abbracciati.

Questa la sintesi della leggenda narrata dall’illustre scrittore di Soligo, Quirico Viviani, nei primi anni del 1800. L’ispirazione nasce da una vicenda realmente accaduta. Solo che, in questo caso, la leggenda è stata collocata temporalmente prima del fatto reale…

Nel 1397, Francesco da Farra, con l’aiuto di alcuni complici, rapì Alice, figlia di Nascinguerra da Farra. Il fatto fu denunciato al podestà di Treviso da tale Zanino, probabilmente fidanzato ufficiale della giovane e figlio del meriga del paese (il meriga era più o meno il sindaco di allora). Il podestà intimò ai rei di comparire in giudizio, ma essi si rifiutarono adducendo come scusa il consenso di Alice al rapimento. Furono così condannati in contumacia e banditi dal territorio del comune.

Ci resta una domanda: se di Agnesina e Giacinto conosciamo la triste sorte, se pur letteraria, cosa ne sarà stato di Alice e Zanino?

(Dove non specificato diversamente le bellissime foto sono opera di Sante Teo che ringrazio per il benestare!)

VIADebora Donadel
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