Come sapete, ogni anno, il magazine di Eventi Venetando ospita una rubrica dedicata alle curiosità locali. Per il 2022 abbiamo pensato di raccogliere fatti, avvenimenti o aspetti della vita riguardanti i singoli paesi della nostra zona un secolo fa.
Il sapiente lavoro di recupero, riordino e stesura è opera del professor Enrico Dall’Anese al quale ho chiesto la disponibilità di raccogliere, con cadenza trimestrale, questo importante contributo anche qui nel blog. Sono felice di aver avuto la sua approvazione e di poter ospitare in questo spazio testimonianze così preziose per la ricostruzione della storia del nostro territorio.
Ecco quindi il primo terzetto di paesi: Miane (articolo di Martino Mazzon), Sernaglia della Battaglia e Tarzo.
Miane nel 1921-22

Nel 1921-22, in pieno “biennio rosso”, Miane e frazioni erano ancora profondamente segnate dalla guerra finita tre anni prima. Era da poco terminata l’amministrazione del comune tramite commissari prefettizi (l’ex sindaco Candido Moscon e poi il dottor Mario Cerutti), e dalle elezioni erano uscite diverse novità.
Il nuovo sindaco era Angelo Paoletti e fra gli assessori vi era il futuro primo cittadino e cavaliere Francesco Rizzi.
Quasi tutti i principali protagonisti del periodo prebellico, però, erano scomparsi o avevano ruoli più defilati: Francesco Buogo, reduce delle guerre d’indipendenza e poi sindaco per decenni, e l’ex assessore Lorenzo Bortolini “Frare” – entrambi cavalieri della Corona d’Italia – erano morti nel 1918; l’altro ex assessore Antonio Dall’Arche “Tonon” non era più consigliere ed il conte e professore Manfredo Bellati era ormai anziano.
La loro generazione aveva, in un certo senso, “costruito” il Comune di Miane come oggi lo conosciamo: fino a dopo il 1866 i sei paesi compresi nel territorio comunale erano rimasti di fatto ben separati, come le “regole” nella Contea di Val Mareno.
Solo tra fine ‘800 e inizi ‘900 erano sorti fra Miane e Visnà gli edifici per i servizi comuni, e questo – assieme alla rettificazione della strada, un tempo irregolare – aveva contribuito anche visivamente ad unire le due borgate in un unico centro.
Nel 1922 venne collocato il Monumento ai caduti nella Grande guerra davanti al “fabbricato municipale e scolastico” costruito nel 1910-11. Quest’ultimo, come gli altri edifici pubblici e molte case private, era da pochissimo stato riparato dai danni della guerra e nel 1924, per colmo di sfortuna, fu di nuovo reso inagibile da una tremenda grandinata che distrusse finestre e tetto, poi riparati da due artigiani locali, il capomastro Antonio Lucchetta “Palpèla” e il falegname Giuseppe Vettoretti “Campaner”. (Martino Mazzon)
Sernaglia un secolo fa
L’anno 1922 si apre con una nevicata eccezionale nella notte tra il 13 e 14 gennaio.
Il paese è in piena ricostruzione dopo i danni della guerra.
Si sta ricostruendo anche l’oratorio di San Rocco. Sorge l’idea di dotare il campanile di un orologio, dal momento che occorreranno alcuni anni prima che quello del campanile della chiesa parrocchiale, in costruzione, possa funzionare. Si forma un apposito comitato che in breve tempo riesce a raccogliere la metà della somma necessaria.
Continua la piaga delle classi scolastiche superaffollate.

Nel 1921 l’insegnante Pillonetto Maria ha 107 alunni, Gardin Maria 106, Trinca Agnese 144, Savoini Antonietta 76, Poli Luigia 73, Tandura Luigia 107, Trinca Elisa 72. L’anno dopo si adotta la misura dello “sfollamento”: le classi numerose vengono divise e l’insegnante con doppio turno ottiene un aumento corrispondente ai due quinti dello stipendio.
Il Comune è troppo “generoso” e regala i testi scolastici e il materiale di cancelleria a tutti.
Si è così raggiunta l’esorbitante cifra annuale di lire 15.000 rispetto a quella, per es., di sole lire 1500 a Pieve di Soligo. Il Sindaco propone l’istituzione di un Patronato scolastico che, in parte finanziato dal Comune, conceda i testi solo agli alunni più bisognosi. Del resto, osserva, “i fanciulli stessi quando sanno che i loro genitori devono comprare i libri hanno più economia nell’usarne ed un libro di lettura può bastare alle famiglie anche due anni e più”.
In estate la persistente ed eccezionale siccità prosciuga perfino l’acquedotto. Si provvede la popolazione di acqua non potabile per gli usi domestici e degli animali. Si costruisce subito con tubi di cemento una cisterna sul letto del torrente Gavada.
Numerosi abitanti del colmello Busche chiedono che sia costruito al centro della borgata un pozzo ad uso pubblico “perché la pompa che ivi esisteva non funziona essendo stata male riparata dal Ministero delle Terre Liberate dopo la distruzione della guerra”. La spesa prevista si aggira sulle 880 lire. Il consiglio comunale approva all’unanimità.
“D’altra parte, osserva il Sindaco, è noto ormai che le pompe non sono adatte al pubblico, che ne fa cattivo uso, e sono sempre soggette a devastazioni e vandalismi specie nelle ore notturne quando manca la sorveglianza, per cui quegli abitanti stanno continuamente senza acqua”.
La costruzione del pozzo, su progetto dello studio tecnico Pillonetto&Maroso, comincerà nell’autunno del 1923. (Enrico Dall’Anese)
Tarzo 100 anni fa
Nel 1922 Tarzo e Corbanese stanno ancora sanando le ferite della Grande Guerra. Le provvidenze alle popolazioni invase erano finite e iniziative come la cooperativa di lavoro, quella di consumo e quella farmaceutica dopo un lusinghiero sviluppo si erano arenate per l’inesperienza di chi le gestiva e per contrasti politici.
Di fronte ad una miseria endemica, l’unica valvola di sfogo restava ancora una volta l’emigrazione.
Quell’anno una quarantina di Tarzesi passò il “foss grando” arrivando in Argentina, dove speravano di trovare altri Tarzesi emigrati nell’anteguerra. Quale fu il loro inserimento?
Lo spiegarono trent’anni dopo due emigranti, Ernesto Pilat e Valentino Pancotto, rientrati in patria. Questa la loro testimonianza, raccolta da B. Sartori.
“Trovammo miseria anche in Argentina. In un primo momento ci siamo rifugiati in un grande stanzone di una casa abbandonata. Dormivamo senza paglia, perché non avevamo i soldi per comprarla. Per l’illuminazione tutti ci siamo procurati una candela, ma all’occorrenza non veniva mai accesa per non favorire i furbi che la volevano risparmiare a spese degli altri. Quindi o completa oscurità o 40 lucignoli fumiganti! Per quanto riguarda il servizio di cucina e i cucinieri, al confronto quella militare durante la guerra era un vero albergo. Però su tutta quella indescrivibile confusione, su quella situazione così opprimente, su tante lacrime masticate, su scene a volte buffe, regnava sempre la fraternità paesana, sostenuta unicamente dalla speranza di trovare un lavoro. E infatti con molta pazienza, chi qua chi là, un po’ alla volta quasi tutti trovammo da lavorare nei paraggi di Buenos Aires”.

Nel corso dello stesso anno altri Tarzesi partirono per la Francia a ricostruire ponti, strade ed edifici distrutti dalla guerra. Ebbero maggior fortuna. In effetti l’emigrazione in Francia era meglio organizzata.
Alla stazione di arrivo un incaricato della ditta che aveva richiesto gli operai attendeva i trevigiani, provvedeva loro vitto e alloggio e, su richiesta, anticipava anche un po’ di vestiario. All’inizio i contratti erano limitati a sei mesi, ma ciò era sufficiente per consentire agli emigranti di inviare a casa un po’ di denaro. (Enrico Dall’Anese)
Il prossimo appuntamento sarà con Farra di Soligo, Follina e San Pietro di Feletto!
Qui potete trovare il mensile di maggio e qui l’archivio di tutti i magazine passati.
[…] Come quasi tutti i comuni del territorio, anche Tarzo, e in particolar modo il borgo di Fratta, soffrì in entrambi i dopo guerra di una forte emigrazione. Qualche mese fa proprio tra queste pagine abbiamo riportato una testimonianza raccolta dal professor Dall’Anese proprio su Tarzo e l’emigrazione di cento anni fa: se volete potete leggerlo qui! […]
[…] Miane, Sernaglia della Battaglia e Tarzo QUI […]
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