Non solo un’icona della lirica ma artista poliedrica e donna dai mille interessi

“L’era ‘n dì de jenaro, de solesel,

no parèa gnanca fret-tu era ti

che tu tasèa par mai pi

ma co n’ taser lidier ‘fa rosada

che se imbròsa inte ‘l fondi de la strada

‘ndove che tut se fa blu…”

– Co l’è mort la Toti – Andrea Zanzotto

Toti Dal Monte, al secolo Antonietta Meneghel, è stata una delle cantanti liriche più amate al mondo, definita “L’usignolo d’Italia”, inserita a più riprese tra le dieci migliori soprano del XX secolo, ma anche: attrice di teatro, cinema, donna dai mille interessi e vivacità culturale non comune.

Pensate: approdò al canto lirico solo perché aveva le mani piccole e, non riuscendo a coprire l’ottava, non potè dare l’esame finale di pianoforte al conservatorio!

Né lei, né il padre si arresero (la madre era morta quando la futura cantante aveva solo sei anni), nonostante i sacrifici fin lì compiuti: Antonietta iniziò invece un nuovo percorso che in quattro anni di studio serrato con Barbara Marchisio, celebre contralto dei primissimi anni del Novecento, la portò a una scrittura importantissima. Nel 1916, a soli 23 anni, fu Biancofiore in Francesca da Rimini di Zandonai al Teatro alla Scala di Milano.

Dopo sei anni fu il maestro Toscanini in persona a volerla per il Rigoletto di Verdi, sempre alla Scala. Fu in quell’occasione che si ritenne il nome Antonietta Meneghel poco adeguato e spartano. La cantante scelse così Toti, che era poi il diminutivo che familiari e amici usavano per chiamarla, e Dal Monte, cognome della nonna materna, decisamente più sofisticato e musicalmente scenografico.

Il successo nel Rigoletto e l’appoggio di Toscanini la proiettarono verso un’inarrestabile carriera. Si esibì nei principali teatri del mondo e i più grandi capi di stato la ricevettero con onore. Tra i suoi celebri estimatori annoverò Gabriele D’Annunzio, suo grande amico, che di lei scrisse “il suo dolce cantare spegne ciò che nuoce” ed Eugenio Montale che invece la paragonò “al miracolo della luna nascente che diffonde intorno albore di madreperla”.

Il travolgente succcesso non le impedì di sposarsi con il tenore Enzo De Muro Lomanto dal quale ebbe una figlia, Marina. Tuttavia, poco dopo la sua nasciata i due cantatni si separarono consensualmente.

Si dedicò poi alla prosa debuttando in teatro e poi al cinema, conquistando ovunque il pubblico: una vera diva.

Avrebbe potuto scegliere di vivere ovunque e invece scelse Barbisano e la sua Pieve di Soligo: una vecchia villa ristrutturata dal cognato Giovanni Possamai di Solighetto, celebre architetto e scultore, divenne la sua dimora nelle pause delle sue tournée e alla fine della sua carriera, quando iniziò a dedicarsi alla formazione dei giovani cantanti lirici, istituendo anche a Treviso il concorso musicale che venne poi a lei intitolato.

Villa Toti, con le sue torri e le finestre alla Belle Epoque, non fu so solo il suo rifugio, ma anche salotto letterario, punto di riferimento per le numerose feste che la Toti dava accompagnandole con il suo canto, la musica, l’allegria…

Inoltre in questa villa, durante la seconda guerra mondiale, Toti Dal Monte proteggeva e assisteva i partigiani prima che salissero in montagna: una piccola ma importante parte nella storia della Resistenza.

I suoi molteplici interessi e la sua curiosità intelettuale la portarono ad aderire a numerose iniziative; per esempio fu tra le fondatrici dell’Accademia Italiana della Cucina e tra i giurati al Festival di Sanremo…

Il Comune di Pieve di Soligo le conferì la cittadinanza onoraria quando era ancora in vita.

Toti comunque non perse mai la sua dolcezza, l’ironia e l’umiltà che avevano fatto di lei un’artista unica nelle interpretazioni pure e intime delle più famose opere liriche

Un piccolo aneddoto ci rende chiaramente queste sue caratteristiche…

Nei periodi e negli anni in cui visse qui, soleva uscire in bicicletta, ma a tre ruote però, una specie di triciclo, “come quel dei fioi” (come quello dei bambini), specificava lei; aggiungendo: “parché mi so’ un pocheto pesantina e no me fido de andar su do rode sole” (perché io sono un poco pesantina e non mi fido di andare su due sole ruote)!

Non solo il talento, ma anche sacrificio, caparbietà e passione, sono stati i segreti del suo successo.

Il segno che ha lasciato è quello di una donna che ha saputo unire fragilità e forza, superando il trauma della perdita della mamma quando era ancora bambina; che ha conosciuto lussi e agi ma ha scelto la semplicità della vita del suo piccolo paese che ancora la ricorda vivamente a quarantacinque anni dalla sua morte.

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