Alveari e mosaici, bellussera e ciglioni.

Chi scrive ha sentito sempre, da piccina, chiamare il filare delle viti “briossera” termine dialettale per bellussera. 

La “bellussera”, ideata dai fratelli Bellussi per combattere la peronospora alla fine dell’800, prevede una disposizione geometrica delle piante di vite realizzata attraverso l’utilizzo di file di pali in legno alti circa 3 o 4 metri, le cui sommità, unite con fili di ferro, si incrociano formando una raggiera. Le viti che si arrampicano sui pali vengono fatte sviluppare seguendo i fili di ferro della struttura e formano un vigneto che, da una veduta aerea, appare come un gigantesco alveare, un ricamo geometrico della natura, che disegna il territorio in modo quasi astratto. 

Questo metodo antico consente tuttora una viticoltura esclusivamente a mano.

Tecnica che, se pur nata nelle terre basse del Piave, è stata adottata e adattata sui ciglioni delle colline del Prosecco.

Il paesaggio a scacchiera formato da filari di viti parallele e verticali rispetto alla pendenza si è ricomposto così in una veduta originalissima: l’ingegno degli uomini ha reso una coltivazione utile, redditizia e allo stesso tempo spettacolare. 

Scrive Gianni Moriani (storico della cucina e del paesaggio agrario italiani):

“Credo che i fratelli Antonio e Matteo Bellussi, geniali realizzatori di questo originalissimo sistema di allevamento viticolo, partendo da un’idea del padre Donato, vadano a pieno titolo iscritti tra gli anticipatori dell’arte cinetica. Come le più ardite opere architettoniche, anche la Bellussera si regge su ferrei principi geometrici. Da ogni sostegno i tralci si dipartono a raggiera, per catturare più raggi di sole possibile. Si può dire che tolti i tutori, tutto sia appeso alla leggerezza di un filo”.

Informazioni e testi tratti da:

Patrimonio Mondiale Unesco 

Il cuore veneto

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