SAN BOLDO – Un “ritmo” in volgare
A nord di Tovena si sale al suggestivo Passo di San Boldo. La strada si snoda dapprima tra morbide dorsali collinari, poi si impenna con tornanti spettacolari. Dall’alto, a oriente, vigila il mitico paladino Orlando seduto sul suo “cagador”.
È denominata la “Strada dei 100 giorni”.
Durante la Grande Guerra, per alimentare il fronte sul Piave in previsione della grande offensiva del giugno 1918, passata alla storia come “la Battaglia del Solstizio”, il Genio militare austriaco, con l’impiego di 7 mila uomini, prigionieri russi e manodopera locale quasi tutta femminile, in solo 100 giorni riuscì a ricavare una strada con ben 5 gallerie elicoidali scavate sulla roccia. Un’impresa che sarebbe ardita anche con l’odierna tecnologia.
Giunti al Passo ci appare la prima bastionata delle Alpi.
Ci siamo avvicinati al limite settentrionale del “quadrilatero” zanzottiano, ai monti sempre da lui associati al colore azzurro:
Perché siamo al di qua delle alpi su questa piccola balza… (da “Dietro il paesaggio”).
Il passo mette in comunicazione la Val Belluna con l’Alto Trevigiano.
Il passo fu sempre frequentato come via commerciale e vi esisteva fin dal medioevo una “muda”, oggi trasformata in una caratteristica osteria, per il pagamento del dazio e il cambio o noleggio dei quadrupedi.
La più antica menzione di San Boldo risale al 1193, periodo in cui i Trevigiani tenevano sul passo una muda dotata di ben 18 gabellieri a dimostrazione della notevole frequenza del transito sul passo.
Quell’anno i Bellunesi riuscirono con un colpo di mano ad impossessarsi della muda. Mentre infatti i Trevigiani si aspettavano il nemico lungo la via più naturale, la Valle del Piave, i Bellunesi li colsero di sorpresa al castello dell’Ardo presso Trichiana, dove i Trevigiani presidiavano il passo, e da qui salirono verso la muda dove catturarono i 18 doganieri.
L’avvenimento è celebrato in una strofa in dialetto che è uno dei più antichi documenti della lingua volgare:
De castel d’Ard avì li nostri bona part lo getà tuto intro lo flumo d’Ard e sex cavaler de Tarvis li plui fer con se duse li nostre cavaler
Andrea Zanzotto, che nelle sue conferenze letterarie citava spesso questo “ritmo”, si meravigliava come un documento così importante fosse solo raramente menzionato nei testi scolastici di letteratura italiana.
I versi del ritmo significano in sostanza: i nostri (bellunesi) riuscirono ad avere nelle mani buona parte dei difensori (trevigiani) del castello che sorgeva sulle rive del torrente Ardo e li gettarono nel torrente; i nostri cavalieri poi condussero prigionieri ben sei cavalieri di Treviso fra i più valorosi.
Per la cronaca, nel 1196 i Trevigiani si presero la rivincita sconfiggendo i Bellunesi a Cesana, dove rimase sul campo anche il vescovo Gerardo de’ Taccoli.
Andrea Zanzotto e gli Ossari
La chiesa-monumento ai Caduti di Vidor, innalzata nel 1925 sulla cima della collina detta il “Castello”, è davvero imponente. Nel piano inferiore si apre una cripta-ossario che contiene le salme dei caduti di Vidor. Al di sopra si erge un artistico tempio di fattura romanica, limitato all’intorno da un caratteristico porticato. Sul frontale, protetta da un apposito tronetto, giganteggia una possente statua della Vittoria alata.
L’imponente monumento destò l’interesse del poeta Andrea Zanzotto, che lo considerava un anello della catena di monumenti lungo il Piave, che egli da giovane visitava in bicicletta.
Quello della Grande Guerra, che tanta parte ebbe nel suo immaginario, è un tema importante nella produzione di Zanzotto. Già l’aveva accennato nel 1951 in “Dietro il paesaggio” con Notte in guerra, a tramontana. L’aveva ripreso in una delle tappe più eloquenti delle “IX Ecloghe” (1962) con Sul Piave.
Infine se ne occupò soprattutto in “Galateo in bosco”, il libro più profondamente storico, in cui allegò addirittura al testo una cartina geografica dell’Isola dei Morti. Per lui è impossibile raccontare il bosco del Montello senza sentire il riverbero della guerra e delle morti di migliaia di giovani.
E un elemento rilevante della sua opera è appunto quello degli ossari.
Sotto la vicina Isola dei Morti corre la “linea degli ossari” che, scrive il poeta in alcune sue note, “ad est va fino al mare Adriatico, ad ovest (nord-ovest) continua attraverso il territorio italiano e poi francese, fino alla Manica”.
Il poeta non risparmiò critiche alla politica fascista degli ossari.
“È stato il fascismo a volere l’ossario, mentre gli inglesi non hanno accettato questa comunanza e hanno fatto uno dei soliti cimiteri inglesi con tante croci, e i francesi ne hanno fatto uno per conto proprio, che si vede nella strada feltrina andando verso nord. La cosa più incredibile è che il fascismo ha fatto riesumare a tanta distanza di anni nei cimiteri dei paesi i resti dei caduti, direi anche dopo la morte tormentati”.
Ma all’elemento degli ossari si collega anche quello della cosiddetta “alta guida”, espressione ricorrente in ben cinque titoli nell’ultima sottosezione del Galateo, che richiama gli ordini che vengono dall’alto e tutte quelle regole di obbedienza, di controllo e di convenzioni sociali che possono mandare a morte molti esseri umani.
Andrea Zanzotto e i topinambùr
A Pieve un luogo particolarmente congeniale al poeta Andrea Zanzotto era la passerella sul Soligo nel Borgo Stolfi.
Qui, sulla riva destra del fiume, sono fioriti anche quest’anno i topinambur, uno dei fiori più umili ma da lui più amati, ai quali dedicò diverse poesie.
l poeta li chiamava “figliolini del sole”. Ne ammirava la spontaneità, la bellezza, ma forse anche l’assenza di quelle attrattive speciali, rare e perciò assimilate spesso alla nobiltà, che sono i profumi intensi e delicati. Fiori plebei, forse, ma pur sempre, e anzi di più, veri fiori. Li definiva il fiore che dipinge di oro giallo i giorni autunnali e li descriveva come “favi di luce soavi”, “atti festivi improvvisi del giallo”.
I topinambur sono uno di tanti elementi del “suo” paesaggio, osservato, interrogato, vissuto dentro e “dietro”, lungo tutto il corso della sua vita e del suo lavoro letterario, e quindi avvertiti e descritti come in sintonia con la realtà tutta, compresa la sua persona e la sua storia.
Ecco allora, in un’altra poesia, gli stessi topinambur, ritratti in attitudini ben diverse:
… feriti
da una vampata solare…
hanno smarrito foltezza fortezza quiete.
Qui i topinambùr sembrano essersi spogliati non solo della bellezza che li ammantava, ma anche della loro energia vitale, fisica e spirituale. Nei versi seguenti i fiori sono detti “afoni”, incapaci di parlare.
Vien dunque in primo piano il loro riferimento simbolico: essi sono come i poeti odierni, che, come osserva il professore Gianni Cella, “integrati al soffocante sistema culturale vigente, hanno smarrito la forza delle loro visioni e delle loro utopie”.
Più avanti, nella stessa poesia, il poeta confessa il suo proposito:
… con voi partirò, topinambùr
per meditazioni invisibili…
È l’accenno – spiega Emanuela Scicchitano – a quel “viaggio della poesia che costruisce mondi impossibili attraverso la rappresentazione di mondi reali e che, al contrario, attraverso la raffigurazione dell’esistente, indica ciò che ancora deve esistere in un dialogo perenne fra il vuoto e il pieno, fra il drammatico e il comico, fra il giallo dei topinambùr e il buio del cielo”.
Rricordiamo che la rubrica “I Luoghi Zanzottiani” è il contributo di Eventi Venetando e del Consorzio Pro Loco Quartier del Piave alle iniziative promosse per la celebrazione del centenario del poeta Andrea Zanzotto. Il professor Enrico Dall’Anese ha individuato i luoghi significativi del poeta, raccogliendo versi, interviste, impressioni.
Gli articoli originali, raccolti nel nostro mensile (cartaceo e digitale), li potete trovare qui:
Agosto 2021 SAN BOLDO
Settembre 2021 ANDREA ZANZOTTO E GLI OSSARI
Ottobre 2021 ANDREA ZANZOTTO E I TOPINAMBUR
Qui invece potete trovare il programma completo del convegno internazionale “Zanzotto, un secolo. Da Pieve di Soligo al mondo” che si svolgerà a Pieve di Soligo dal 8 al 10 ottobre prossimi.