La prima raccolta degli articoli finora pubblicati sui luoghi del poeta, a cura di Enrico Dall’Anese
In questo 2021 si celebra con molte iniziative culturali a livello locale e nazionale, Covid permettendo, il centenario della nascita del poeta Andrea Zanzotto.
Con questa rubrica Eventi Venetando intende offrire il suo modesto contributo. In ogni numero del nostro mensile accenneremo a un “luogo” zanzottiano: luoghi significativi della sua esistenza o che hanno ispirato la sua poesia.
Iniziamo oggi a raccogliere i primi articoli anche qui nel blog.
La casa dell’infanzia nella Cal Santa
Il poeta Andrea Zanzotto nasce a Pieve il 10 ottobre 1921 in una calle del borgo Sartori.
A due anni comincia a trascorrere la sua infanzia in una casa della Cal Santa, appena acquistata dal
padre. Qui, già a sette anni il piccolo Andrea sente la poesia “crescere come il corpo”, diventare qualcosa
di intimamente attivo.
La famiglia del poeta era originaria di Refrontolo, dove il cognome “Zanzot” è documentato fin dal 1600. A fine Settecento alcuni Zanzotto praticavano il mestiere di “muraro”.
Nel 1819 giungono a Pieve, dove nel 1820 nasce Giovanni, bisnonno del poeta.
A Pieve gli antenati del poeta incrementano la loro attività edilizia come “cazzolini” e “frattaioli”.
Nei primi decenni del Novecento alcuni membri del casato si affermano nel settore dell’arte, delle
scienze, della poesia. Andrea e Giovanni, rispettivamente nonno e padre del poeta, diventano decoratori e pittori.
Quando, nel 1927, il piccolo Andrea inizia la scuola elementare, grazie alla maestra Marcellina Dalto impara prestissimo a scrivere: viene così inserito nella seconda classe.
In questo periodo sente già – come egli stesso raccontava – “il piacere della musicalità delle parole”.
Nel 1929 perde la sorella Marina e nel 1937 la sorella Angela, lutti che lo turberanno profondamente per tutta la vita.
Negli anni Trenta frequenta a Treviso le Scuole magistrali. Iniziano anche i primi forti interessi letterari.
Risale al 1936 l’ispirazione dei primi versi che, con la complicità della nonna e delle zie, riesce a pubblicare in un’antologia per la quale versa un piccolo contributo. I versi non hanno ancora uno stile personale e risentono dell’influenza di Giovanni Pascoli.
Alla sua casa dell’infanzia Andrea Zanzotto restò sempre molto affezionato.
L’edificio si trova a sinistra poco dopo l’imbocco della Cal Santa. E’ preceduto da un porticato su una parete del quale sono stati conservati alcuni affreschi del padre Giovanni.
Grazie ad un congruo contributo della Regione Veneto la casa è ora in restauro. E’destinata a conservare memorie fra le più significative del grande poeta pievigino.
Pieve di Soligo: Palazzo Morona
Un altro luogo significativo della sua Pieve fu, per il poeta Andrea Zanzotto, il complesso del Palazzo Morona.
I Ciassi, facoltosi mercanti imprenditori, contribuirono notevolmente allo sviluppo edilizio della Pieve del 1600. Tutto l’insieme dei fabbricati, compresa probabilmente anche la canonica, delimitato dalle strade per Conegliano e Barbisano, costituiva nel Sei-Settecento il complesso Ciassi, poi acquistato dai Morona nel 1800. Oggi è riconoscibile in due “ville” distinte, denominate Ciassi-Morona e Ciassi-Bellè-Chisini, restaurate in anni recenti.
Nei primi anni Sessanta del secolo scorso, Zanzotto, da poco sposato, è già un poeta e scrittore affermato e ha già avuto diversi riconoscimenti.
Nel 1959 vince il premio Cino Del Duca con alcuni racconti, iniziando a riflettere sulla sua poesia, una poesia che definisce “ostinata a sperare”. Nel 1962 Mondadori pubblica il suo volume “IX Egloghe”.
E’ in questo periodo che il poeta pensa per qualche tempo di accasarsi proprio dalle parti del palazzo Morona. Nel suo scritto “Premesse all’abitazione”, pubblicato nel 1964, l’antica dimora signorile gli evoca storie di corruzione e di degrado morale che dovevano caratterizzare anche quell’ambiente nei secoli passati.
Scrive, tra l’altro:
“Dal mio terreno si vedeva un gruppo di grossi palazzotti secenteschi, le loro adiacenze, barchesse e depositi dei raccolti. Era il nucleo più antico del paese, di cui faceva parte anche la casa parrocchiale: quell’antichità troppo distante dal tempo in cui io avevo destinato e circoscritto il mio luogo di nascita, quel grumo di abitazioni di gente vissuta certo tra soprusi inflitti agli altri e gl’intimi tremori, tutta immerdata in dèi controriformisti e donrodrighiani, quelle casacce in cui si erano consumati amori sentiti necessariamente come sporchi e fantasticate o subìte contaminazioni d’ogni genere”.
Il luogo era caro a Zanzotto anche per motivi personali.
A nord del Palazzo, sulla strada per Conegliano, si apre il settecentesco oratorio barocco con campaniletto a vela, fatto costruire dai Ciassi, intitolato alla Madonna del Carmine.La tela dell’altare, che raffigura la Beata Vergine del Carmelo (1945), è opera dell’artista Giovanni Zanzotto, padre del poeta.
Zanzotto e il Ligonas
A sud di Soligo, ai confini col Patean, vi è una zona di campagna chiamata Ligonàs.
E’ un toponimo che ci riporta al Medioevo. “Ligonizare” significava coltivare terreni incolti comunali con la zappatura. Un lavoro svolto dai pisnenti o braccianti che non possedevano beni, ma ai quali era consentito di coltivare con la zappa alcune prese di terre. Ligonizare aveva anche significato di scavare fosse d’acqua.
Nel 1888 il N. H. Marco Giulio Balbi Valier, proprietario dell’area, vi fece costruire una casa colonica, circondata da quattro campi di terra, rilevata nel 1904 da Antonio Ceschin. Qualche decennio fa il nipote del Ceschin, Antonio anche lui, vi ricavò un locale di straordinaria accoglienza che ha cessato l’attività solo in tempi recenti.
L’edificio e questo angolo di pace e di natura incontaminata era particolarmente caro ad Andrea Zanzotto. Di tanto in tanto, ricorda Antonio Ceschin, il poeta faceva una camminata da queste parti e sostava qui per un tè o un cappuccino.
Zanzotto contribuì a rendere celebre questo locale prima con la poesia Ligonàs (dalla raccolta omonima, primo premio della fondazione Pandolfi di Firenze) e poi con Adieu a Ligonas, contenuto in Anterem. Qui presentò la sua pubblicazione e festeggiò il premio con amici e giornalisti.
Fu lui, tra l’altro, a curare la trascrizione dialettale del motto che caratterizza la meridiana sulla facciata dell’edificio: “Qua passa tute le ore / ma no passa mai / quela del bever / disnar e dugar”.
Il poeta interpretava il Ligonas come metafora di un ambiente ancora intatto, continuamente minacciato dall’oltraggio dell’uomo.
E’ una denuncia contro la distruzione della realtà naturale, che è anche distruzione di una società, di una cultura, di un mondo. Stava allora per sorgere nei pressi una nuova zona industriale.
Nei suoi versi anche Ligonàs scompare “circondato/ ormai da funebri viali di future “imprese”, da grulle gru, sfondamenti di orizzonti, che crollano in se stessi”.
Non era una generica contestazione del progresso. “Quello che non piaceva a Zanzotto, osservava Nicolò Menniti Ippolito, era il «progresso scorsoio» di cui aveva parlato in un recente libro intervista, per segnalare il nichilismo che è contenuto nella visione effimera e sradicata del progresso che la società oggi offre”.
A cura di Enrico Dall’Anese
Articoli originali:
Febbraio 2021 La casa dell’infanzia
Marzo 2021 Palazzo Morona
Aprile 2021 Il Ligonas